[vc_row][vc_column][vc_column_text]Articolo di Serena Lotti | Foto di Andrea Ripamonti
In principio era Sofocle, poi arrivò Shakespeare, poi ci fu la teoria della mistificazione pirandelliana dell’uomo in maschera, poi anche Freud e Jung vollero dire la loro. Poi dal palco del teatro e dal divano Frau dello psicoterapeuta la maschera, fisica o metaforica che fosse, è arrivata anche sui palchi del rock e dell’elettronica. The Residents, Ghost, Slipknot, Daft Punk, Masters Musicians of Bukkake fino agli italiani Tre Allegri Ragazzi Morti, Liberato, Miss Keta, Sick Tamburo l’elenco è lungo se consideriamo anche che i gruppi mascherati stanno sensibilmente aumentando di anno in anno. In questa lista non poteva mancare Sir Bob Cornelius Rifo, fondatore, ideatore, dj, folle mente del progetto The Bloody Beetroots, un macrocontenitore incendiario di punk, elettronica, hip hop, hard rock e new wave che in oltre dieci ani di carriera anni ha attratto intorno a sè notevole interesse e che vanta collaborazioni importanti e diverse tra loro (Paul McCartney, Perry Farrell, Jet, Frank Carter & The Rattlesnakes, Gallows, Zhu, Boys Noize e Steve Aoki tanto per citarne alcuni).
The Bloody Beetroots ha suonato in ogni festival del mondo da Coachella allo Sziget, da Tomorrowland al Primavera Sound, Lollapaloosa EDC Las Vegas, Ultra Music Festival fino alla sua recente esibizione all’ADE di Amsterdam per un sublime concerto accompagnato dalla Metropole Orchestra.
Venerdì 31 Gennaio ai Magazzini Generali di Milano lo abbiamo incontrato per la prima delle due serate evento in dj-set, la seconda in cartellone al Locomotiv Club di Bologna, parte del suo tour mondiale. Non eravamo pronti forse, ce lo avevano detto di portarci l’assetto antisommossa e di prepararci a qualsiasi cosa. Ed è stato così: Bob Rifo ha letteralmente fatto ribaltare il locale e tutti quelli al suo interno, facendo roteare tutto a 360° e riportando l’assetto il linea piana quando meno ce lo aspettavamo.
Quella di TBB è un’autentica quanto coraggiosa missione: restare punk rigenerando la musica elettronica dalla sua più recente natura disposable creando un perfetto algoritmo di electro, house, techno e punk fondendo tutto in un genere underground rinnovato e trasversale che è prima di tutto fenomeno esperenziale pregno di istintività musicale.
Bob Rifo arriva sul palco con una maglia black and white, Solitario è la stampa dietro alle spalle. La folla lo acclama, tutti hanno già le ginocchia liquide e ricettive e le braccia pronte a tenere la ritmica del tunz tunz. E lui è il lupo solitario, la pantera mascherata, l’Uomo Ragno 2.0 che si sbatte davanti alla consolle, che la aggredisce, la abusa, la penetra letteralmente. La consolle che trasuda reiterazioni elettroniche in un wall of sound assordante e lisergico che diventa anche trampolino di lancio, Bob Rifo salta come David Lee Roth a gambe tese e si esibisce in spaccate simmetriche atterrando in ginocchio on the stage sparando le sue grida sulla folla elettrizzata e presa bene con invocazioni che sono commitment ben precisi.
Per noi amanti dell’indie rock non avvezzi ai dj-set tutto assume le sembianze di un immenso psicodramma in salsa dance punk che si consuma in un luogo-non-luogo e ci sfonda letteralmente le orecchie. Uno show duro, esplorativo, sicuramente liberatorio e non certo per tutti. Assistere ad una full performance di The Bloody Beetrots è come essere tamponati in autostrada senza cintura, è come trovarsi in mezzo ad una rissa allo stadio, è come partorire senza epidurale, è come svegliarsi dopo una paralisi del sonno. E disturbante, alienante, è un continuo intreccio di bassi, incursioni cyberpunk, ambientazioni industrial, bit rapidissimi, con un wall of sound durissimo, violento, inquietante.
Volume a palla, pazzia totale, stage diving, mosh pit, gente che cammina sopra ad altra gente. E’ l’impegno cooperativo del facciamo bordello, pianifichiamo un casino della madonna, devastiamo tutto, e se Sir Rifo si identifica nell’onestà di un linguaggio puro e ad assicurato effetto esplosione, quello a cui assistiamo al Magazzini Generali è un delirio bladerunneriano a tutti gli effetti. E’ anarchia, è ribellione e sovversione, è disagio ed entertainment insieme. TBB è uno stile di vita, è una mental attitude precisa. Vedo gente scassarsi in un pogo enorme che parte da sottopalco e arriva finchè il mio occhio riesce a scorgerne i confini eppure i richiami alle esperienze del punk inglese, del tutti contro tutti, dello sfogo collettivo e catartico sono persistenti ed evocativi. Non sembra di stare in discoteca, se guardi oltre il palco di sembra di stare ad un concerto hardcore, e non l’ombra di un tamarro coi risvoltini, lo giuro. Uno show alienante, con un maestro delle cerimonie mascherato che porta la folla alla spersonalizzazione e alla frantumazione dell’io, une masse de gens che non è che un’unica onda che si flette e si eleva, che si scompone e si riassetta, che si scontra e si fonde in un moshing forsennato. Un nuovo e alternativo modo di sperimentare il clubbing e riposizionare Bloody Beetroots all’interno di questo circolo di matti come un profeta e l’antioeroe della musica elettronica che fa rinascere la club culture grazie a quel punk ad effetto implosione.
Insomma la musica elettronica mainstream ha rotto i coglioni dice Bob Rifo e lui punta molto più in alto E’ quel mindset che ti fa dire… vogliamo vedere che cazzo succede adesso?
Clicca qui per vedere le foto di The Bloody Beetroots in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]
© THE BLOODY BEETROOTS